Assegno divorzile: la Corte di Appello di Roma conferma la Cassazione
Una sentenza davvero rivoluzionaria, quella della Corte di Cassazione del 10 maggio 2017 n. 11504, che ha ribaltato completamente il criterio per la determinazione dell’assegno divorzile attraverso una interpretazione della norma peraltro strettamente aderente al disposto di legge.
Esula dagli stretti confini di questo scritto esporre una articolata interpretazione della citata sentenza. Il lettore ha già a disposizione – nonostante il pochissimo tempo passato dal suo deposito – innumerevoli valutazioni della sentenza, sia dal punto di vista morale, che sociale, familiare, oltre ovviamente a quello giuridico.
La sentenza è stata incredibilmente ben accolta da tutti i settori della società civile italiana in quanto evidentemente era ormai già stratificata la coscienza comune della iniquità della precedente interpretazione legislativa.
I vecchi parametri prima della Cassazione 11504/2017
Secondo i vecchi schemi, in sostanza, la moglie aveva diritto in ogni caso, e cioè qualsiasi fosse stata la causa della crisi coniugale, ad un trattamento consono alla sua posizione sociale, al suo tenore di vita (reale o agognato) indipendentemente da qualsiasi altra considerazione.
La giurisprudenza favorevole alla donna compensava poi di fatto qualsiasi incongruenza interpretativa. Tutte le numerosissime controversie in tema di assegno divorzile vertevano sostanzialmente sullo stesso punto: il tentativo della moglie di dimostrare che il marito era ricco, e la difesa del medesimo per dimostrare che ciò non era vero.
Poi tendenze interpretative abnormi volte a sopravvalutare le affermazioni della moglie e a sottovalutare le prove del marito hanno fatto sì che, in Italia, sposarsi, per un uomo, significa mettere a rischio il proprio patrimonio, la propria vita, la propria carriera lavorativa e la propria stabilità sociale.
I casi giornalistici
I casi frequenti, riportati dai giornali di mariti costretti a vivere a spese della pubblica assistenza dopo aver dovuto cedere alla moglie l’unica loro casa, magari comprata con i sacrifici di anziani genitori, e dovendole ulteriormente versare una somma a volte superiore al loro guadagno reale, hanno certamente inciso nella valutazione negativa da parte dell’opinione pubblica sulla iniquità della interpretazione della legge.
La quale, come tutti possono verificare, tra l’altro, non parla mai di “marito” o “moglie”, senza però che consti mai essersi verificato un caso in cui la moglie, più ricca, sia stata obbligata ad assicurare lo stato sociale del marito, più povero.
I nuovi parametri interpretativi dell’assegno divorzile
Ora la Corte di Cassazione ha spazzato via tutto. Non è più dovuto automaticamente alcun assegno divorzile al coniuge (sia esso moglie o marito) bensì solo un assegno di “solidarietà economica” all’ex coniuge ma quando, senza sua colpa, non sia in grado di mantenersi.
Un più modesto assegno di mantenimento, quindi, e non la garanzia di un obbligatorio “tenore sociale” identico a quello prima del matrimonio. Ed oltretutto da determinare solo in una fase logica successiva, cioè quando venga accertato in giudizio che uno dei due coniugi si trovi economicamente al di sotto di uno standard minimo di indipendenza o di autosufficienza economica.
Conseguenze sui matrimoni viste da un notaio cattolico
Chi scrive a già avuto modo di occuparsi del problema in alcuni incontri pubblici, nella sua qualità di Consigliere Nazionale dell’Associazione Nazionale Notai Cattolici.
E in questo ruolo aggiungo, alle valutazioni di cui vi ho detto, anche una specifica considerazione positiva, per la quale mi permetto però di rinviare preliminarmente a quanto da me già espresso ad un convegno sui diritti delle donne, matrimonio e convivenza, e specie al video di quell’evento, in particolare al minuto 2,00. Problemi che pure brevemente avevo anticipato in una breve intervista per una emittente televisiva.
La Chiesa si lamenta del drastico calo dei matrimoni in Italia? Le donne stesse si approcciano all’uomo senza desiderio di sposarsi, ma solo di convivere? Dicevo, nell’intervista da ultimo citata, che quando la donna dice all’uomo: “non importa che ci sposiamo, conviviamo assieme” lo dice per un atto d’amore, per tranquillizzarlo, ed è come se gli dicesse: “io ti amo, voglio stare con te, con la tua persona, non voglio i tuoi soldi o la tua casa”.
Ed ora la Cassazione ha dato ai cittadini la sicurezza giuridica che l’atto di sposarsi è veramente un atto d’amore, che ci si può sposare senza temere dei calcoli del più malizioso tra i due. Perché coi nuovi criteri della Cassazione le malizie si arrestano e naufragano.
Il vero dunque grande risultato positivo di questa nuova interpretazione della Cassazione sarà, a mio avviso, l’aumento, o perlomeno l’arresto della diminuzione, dei matrimoni in Italia.
Perché l’uomo e la donna, sposandosi, vengono riportati dai principi della Cassazione ad una dimensione costruttiva e sincera e sapranno che se – malauguratamente – ci fosse una crisi – entrambi ci perderanno e non ci sarà, come prima della Cassazione 10 maggio 2017 n. 11504, qualcuno che dalla crisi coniugale ci guadagna e qualcun altro che ci rimette.
La Corte di Appello di Roma – Decreto 1786/2017
Certo, l’imprevedibilità di tanta e diffusa adesione alla decisione della Corte di Cassazione ha fatto temere a qualcuno la possibilità dell’insorgenza di reazioni frenanti, magari da una parte della giurisprudenza che possa sentirsi presa in contropiede.
La Corte di Appello di Roma, col Decreto 1786/2017 depositato il 21/06/2017 non è tra questi.
Si tratta certamente del primo provvedimento dell’Autorità giudiziaria di secondo grado, e dell’autorevole Corte di Appello di Roma, presieduta e composta dai più rispettati magistrati di quella Corte.La prima, certamente, in senso assoluto perché l’udienza conclusiva nella quale la Corte si è riservata la decisione è dell’11/05/2017, e cioè esattamente 24 ore dopo il deposito della sentenza della Corte di Cassazione 11504/2017. Un intervento, quello della Corte di Cassazione, nel caso specifico certo in limine litis, davvero sul filo di lana.
E la Corte di Appello di Roma non si è lasciata sfuggire l’occasione per dire la sua sulla sentenza di 24 ore prima.
Ovviamente l’11/05/2017 il processo era già giunto a conclusione, dopo un iter, come sempre succede, pluriennale, snodantesi in primo e in secondo grado.La Corte di Appello di Roma non poteva certo ignorare l’attività istruttoria, le prove, le argomentazioni svolte da entrambe le parti, tutte fondate sulla precedente giurisprudenza.
E la sentenza della Corte di Appello di Roma infatti ne ripercorre dettagliatamente e precisamente le linee, giungendo ad una conclusione nel merito, e che cioè il ricorso della moglie per la revisione della decisione di primo grado, tendente ad aumentare l’assegno di cui già godeva, doveva essere rigettata.
Ma dopo aver già concluso la sua motivazione, e dopo aver già dichiarato che il provvedimento di primo grado era fondato, immune da errori, sì da rendere infondate le richieste della moglie reclamante, la Corte di Appello di Roma, come accennavamo, si è ricordata della sentenza della Cassazione del giorno prima, e ha affermato concretamente, nel caso specifico, che se i due gradi di giudizio fossero stati imperniati sulla nuova decisione della Cassazione, neppure quell’assegno divorzile, che la moglie voleva aumentare, sarebbe stato dovuto, apparendo “evidente” come risultassero in quel caso carenti le condizioni per la stessa concessione dell’assegno divorzile.
La Corte di Appello di Roma dunque, nella sua motivazione, dopo il rigetto del ricorso della moglie, non si è dimenticata della novità della Cass. 11504/17 ed ha voluto, sua sponte, ricordare la novità, aderendovi pienamente.
E la Corte di Appello di Roma non si limita neppure a un fuggevole richiamo di un principio di diritto, perché esprime analiticamente, dettagliatamente, consequenzialmente, il meccanismo logico a cui dovrà attenersi il Giudice del divorzio di primo grado. In maniera pregevolmente puntigliosa la Corte di Appello di Roma esprime vere e proprie linee guida, una vera check list del ragionamento logico da seguirsi.
La check list dell’assegno divorzile
Il lettore, così nella trascrizione che segue, troverà un vero e proprio “manuale”, che ci dice cosa il giudice del divorzio deve verificare conseguenzialmente, ogni volta, passo dopo passo.
Data l’importanza della materia è inimmaginabile che si tratti di una iniziativa del relatore di carattere autonomo o episodico. E che si tratti di parole comunque emesse in maniera avulsa da un contesto è da escludere. Il sottoscritto anzi, in quelle parole, se non altro per la sua esperienza pregressa come magistrato ordinario anche nella prima Sezione del Tribunale civile di Roma ci intravvede il frutto di una consultazione ad alto livello.
Ed è con queste parole, che vi presento testualmente ora, senza più indugiare, quelle linee guida a cui gli avvocati e i giudici del divorzio dovranno d’ora innanzi fare riferimento.
Trattandosi di questioni private omettiamo completamente ogni riferimento agli aspetti di merito, anche perché il dipanarsi del ragionamento tra i redditi della moglie e i redditi del marito non credo costituisca interesse per alcuno.
Il testo di App. Roma 1786/2017 sull’assegno divorzile
“La Corte di Appello di Roma
– Sezione della persona e della famiglia –riunita in Camera di Consiglio, e composta dai magistrati:
Dott. Rosaria Ricciardi – Presidente;
Dott. Germana Corsetti – Consigliere;
Dott. Paolo Russo – Consigliere e Relatore,
ha pronunciato il seguenteDECRETO
nel procedimento civile iscritto al n. …(omissis)… del Ruolo Generale per gli affari civili non contenziosi dell’anno 2015, avente ad oggetto il reclamo contro il Decreto del Tribunale di Roma del 21/10/2015, per il quale è stata riservata la decisione all’udienza del 11/05/2017
… (omissis) …
ritiene la Corte che il provvedimento assunto dal Giudice di primo grado sia fondato sulla corretta ed accurata valutazione delle risultanze processuali relative alle condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi e sia immune da errori , sì da rendere infondate le censure della reclamante.
……(omissis) …..
Va altresì considerato che nelle more del giudizio, in tema di individuazione del presupposti dell’assegno divorzile è intervenuto un nuovo orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, che è immediatamente applicabile in forza della natura dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, vertendosi nella specie in tema di interpretazione di una regola di diritto sostanziale e non di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo.
Ebbene, la Corte di Cassazione (Sentenza 10 maggio 2017, n. 11504), modificando il proprio orientamento in tema di assegno divorzile, ha statuito che “Il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come statuito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell’ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:A) deve verificare, nella fase dell’an debeatur – informata al principio dell’autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”, ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio fatto valere dall’ex coniuge richiedente, se la domanda di quest’ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di <<mezzi adeguati>> o, comunque, impossibilità <<di procurarseli per ragioni oggettive>>), con esclusivo riferimento all’indipendenza o “autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;
B) deve “tener conto”, nella fase del quantum debeatur – informata al principio della <<solidarietà economica>> dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro in quanto “persona” economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell’assegno, ed alla quale può eccedersi soltanto all’esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto – di tutti gli elementi indicati dalla norma (<<[….] condizioni dei coniugi, […..] ragioni della decisione, [….] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [….] reddito di entrambi [….]>>), e “valutare” <<tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio>>, al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.).”
….(omissis)…
Notaio Massimo d’Ambrosio
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Era ora. Una sentenza, quella della Cassazione, doverosa e giusta, sia da un punto di vista giuridico che morale. Era incomprensibile il motivo per cui, nonostante lo scioglimento del vincolo (e sottolineo “scioglimento”), una parte dovesse restare vincolata all’altra in maniera tanto opprimente sulla base, peraltro, di un criterio (il tenore di vita goduto durante il matrimonio) più merceologico che solidaristico. Il nuovo principio rimette ogni cosa al suo posto: restituisce sia al matrimonio che all’assegno il significato che ciascuno dei due deve avere.
La ringrazio della sua opinione. In effetti la vecchia interpretazione aveva permesso il nascere di comportamenti non consoni ai principi del matrimonio. Sposare un coniuge ricco significava “sistemarsi” per la vita in un modo o nell’altro.